"L'azienda del futuro non è un'azienda"! (cit. Matt Kendall). Come imprenditore, infatti, sono giunto alla conclusione che è molto difficile creare valore con un'organizzazione aziendale basata sulla compravendita del tempo di impiegati, per quanto talentuosi essi siano.
Il co-working, infatti, può essere considerato a tutti gli effetti un generatore di opportunità e una trasposizione della rete di internet nella vita reale: uno spazio che, mettendo in contatto persone non in competizione fra loro, ne fa emergere spontaneamente le conoscenze individuali e permette a tutti di beneficiare della cultura collettiva così generata. In altre parole, ciò che più affascina e mi intriga è la naturale alchimia che, all'interno di queste strutture, può generarsi tra i partecipanti, spesso legati da un rapporto di fiducia reciproca e obiettivi da perseguire.
Ho deciso, quindi, di studiare il fenomeno in modo più approfondito. Negli ultimi anni, infatti, il mondo del lavoro ha subito una serie di profonde trasformazioni anche sul piano dello spazio; considerazioni, queste, che mi hanno portato a cercare di stimolare lo sviluppo di un’intelligenza collettiva, che può essere generata, ad esempio, da singoli professionisti che lavorano in modo indipendente.
Infatti, come affermato nel saggio MI GENERATION a cura di Lidia Katia C. Manzo:
L’avvento di Internet e delle nuove tecnologie, se da un lato ha disperso ulteriormente i lavoratori privandoli di un luogo fisico, dall’altro ha permesso di creare un luogo di condivisione del sapere che tutt’oggi rappresenta il bacino privilegiato di condivisione di idee, esperienze e sapere per tutti i lavoratori della conoscenza.
Questa nuova classe di lavoratori – figlia anche di un profondo clima di incertezza – è caratterizzata da una pressante necessità di aggiornamento, da una forte autonomia professionale (parliamo spesso di freelance) e da un'evidente insofferenza ai modelli gerarchici del passato. Al tempo stesso, però, questo tipo di persone ha intrinsecamente preservato uno spiccato senso di comunità che deriva direttamente dal contesto storico di riferimento e che riguarda la naturale propensione degli individui ad aggregarsi in community sulla base di affinità caratteriali o professionali.
Questo è ancor più vero se consideriamo che oggi la rete di contatti familiare - che ha rappresentato per molti il principale veicolo di affermazione professionale fino a qualche tempo fa - non è più efficace. Ora, i giovani impegnati in attività creative o di concetto con ridotta esperienza lavorativa, salvo rare eccezioni devono cercare altre strade per crescere professionalmente e sviluppare la propria rete di contatti. Tutto ciò – si legge sul documento citato poc'anzi - è in netta contrapposizione a quanto accadeva nel mondo industriale fordista, dove la natura fortemente istituzionalizzata dei percorsi lavorativi e la possibilità d’apprendistato garantivano il superamento delle problematiche appena descritte.
Ora non è più così.
Ecco perché il co-working può essere per i creativi di oggi, soprattutto i più giovani, un modo per costruire una propria rete di contatti ed entrare in circuiti di lavoro a cui altrimenti non avrebbero accesso. Attraverso la condivisione di uno spazio fisico, è infatti possibile accrescere il proprio capitale sociale (sia nel senso di relazioni interpersonali, sia nel senso di fatturato) andando a costituire differenti team di lavoro(o partnership) a seconda di quanto richiesto dal progetto stesso.