A pochi anni dalla prima grande rivoluzione informatica, ci troviamo oggi nel pieno di un altro epocale cambiamento (comunque già in corso da tempo) potenzialmente in grado di modificare in maniera altrettanto radicale il mondo in cui viviamo. L'intelligenza artificiale, infatti, ha già dimostrato di poter "supportare" molte attività dell'uomo e di svolgere, in alcune circostanze, un'importante funzione ausiliaria.
Al tempo stesso, tuttavia, essa rappresenta per tanti una sorta di minaccia perché aumenta le possibilità che molte operazioni vengano svolte interamente dai computer, con il rischio che alcune professionalità oggi presenti nel mondo del lavoro possano scomparire.
In un momento di crisi economica come questo che stiamo vivendo, dove tanti giovani con una preparazione eccellente (come mai nella storia) faticano a trovare uno sbocco lavorativo dignitoso, ciò può costituire un'ulteriore fonte di preoccupazione. A mio avviso, invece, se guardiamo le cose da un'altra prospettiva, questi sviluppi potrebbero rappresentare delle inaspettate opportunità.
Infatti, così come la rivoluzione industriale (intesa come unico grande fenomeno) è stata capace di alleviare il peso di alcune mansioni, anche l'intelligenza artificiale potrebbe sollevare l'uomo dal fardello di professioni spesso ritenute alienanti o poco appaganti. Soprattutto in Italia - dove la cultura del "posto fisso" porta molti talenti a "sacrificare" le proprie attitudini sull'altare di una presunta sicurezza.
Rendendo superflue (o marginali) la maggior parte delle attività di carattere procedurale, burocratico e amministrativo, invece, l'intelligenza artificiale potrebbe non lasciare alternative a discipline “di concetto” e stimolare quei talenti che - proprio per via della loro formazione, della loro educazione e del contesto storico in cui sono cresciuti - saranno più inclini a soluzioni di lavoro che possano amplificare il loro valore aggiunto.
Si tratta di un cambio di prospettiva culturale e antropologica difficile da assorbire soprattutto per coloro che oggi cominciano un percorso di lavoro ragionando in termini di impiego e non di costruzione del valore. Valore che, per tutti questi motivi, viene prodotto da una quantità sempre minore di individui a vantaggio, però, di un numero sempre maggiore di persone.
Di conseguenza, se dovesse verificarsi un cambiamento di tale portata in grado di accelerare a dismisura un fenomeno comunque già in atto, anche i modelli organizzativi e gli spazi di lavoro potrebbero subire delle trasformazioni, in direzione di sistemi che permettano a questi individui di accrescere il loro contributo intellettuale.
Credo, infatti, che il futuro dell'impiego di qualità consista nella diffusione di professionalità, anche non necessariamente di concetto, ma ad alto valore aggiunto che, proprio per questo motivo, avranno bisogno di un ambiente improntato sulla condivisione e non sulla competitività. Il Co-working, ad esempio - rappresentando la naturale trasposizione della cultura condivisa della rete di internet nella vita reale - potrebbe costituire uno di questi modelli.
Ragionando sul piano globale, poi, l'Italia rappresenta una vera fucina di menti creative e intellettuali, professionalità stimate ed apprezzate a livello mondiale, anche per via del background culturale che possiedono. Ecco perché, contestualmente a questi sviluppi, sarà importante indirizzare la formazione verso obiettivi più orientati alla costruzione del valore.