Negli ultimi giorni, mi sono imbattuto in una serie di articoli relativi ai cambiamenti che stanno interessando trasversalmente il mercato del lavoro e le modalità con cui le organizzazioni del futuro intenderanno regolare i rapporti tra i loro membri. L'orientamento comune è la consapevolezza che la struttura gerarchica e piramidale delle aziende classiche sta vacillando, proprio mentre cresce il desiderio, da parte di una branca di lavoratori, di operare con maggiore autonomia.
Molti imprenditori, avvertendo l'urgenza della questione, hanno cominciato ad avviare una serie di processi di cambiamento, adottando pratiche relativamente nuove, ma di certo non rivoluzionarie. Alcune organizzazioni, ad esempio, hanno già iniziato da tempo a considerare positivamente forme flessibili di lavoro (come ad esempio proprio lo Smart Working), certi di riuscire a responsabilizzare i lavoratori e permettere loro di conciliare vita personale e professionale nel modo più soddisfacente.
A mio avviso, tuttavia, sembra non esserci stato un cambiamento significativo nei modelli organizzativi, che sono rimasti comunque fermi a stereotipi e pregiudizi tipici di un'era ormai superata. Se parliamo di eliminare la struttura gerarchica allora deve sparire la parola (e soprattutto il concetto) di dipendente. Altrimenti il cambiamento è fittizio. Fiducia, collaborazione, partecipazione, network, team, cooperazione sono solo parole vuote senza la presa di coscienza dell'individuo che diventa unico responsabile di se stesso e quindi della sua professione.
Essere dipendente significa invece continuare ad essere sempre vincolato alle scelte altrui, con un evidente e permanente scarico di responsabilità che non permette l'evoluzione e la crescita professionale e sociale. Queste iniziative appaiono quindi come l'ennesimo tentativo “gattopardiano” di cambiare tutto affinché però nulla cambi. È la più evidente manifestazione della dialettica “servo-padrone” affrontata da Hegel, in cui i due opposti continuano ad aver bisogno l'uno dell'altro per sopravvivere in un precario sistema di equilibri.
In questa straordinaria epoca di "condivisione" di cui i social network sono forse la più grande manifestazione, credo invece che le strutture reticolari (come ad esempio il coworking nel settore dei servizi o il franchising in quello della distribuzione) possano rappresentare delle prime alternative alle organizzazioni piramidali oggi predominanti (seppur nella loro fase di declino).
In settori come la logistica e l'industria credo invece che la struttura gerarchica continuerà a sopravvivere ancora per un po', almeno finché il lavoro meccanico oggi eseguito dagli uomini non verrà definitivamente sostituito dall'automazione robotica e dall'intelligenza artificiale. Infatti, così come la rivoluzione industriale è stata capace di sollevare l'uomo dal peso di alcune mansioni che solo oggi consideriamo "inumane" (quando anche allora molti credevano che queste trasformazioni ci avrebbero danneggiato), anche l'intelligenza artificiale potrebbe sollevare l'uomo dal gravame di professioni spesso ritenute alienanti o poco appaganti.
Siamo già abituati a condividere informazioni, beni e servizi (si vedano, a tal proposito, le varie piattaforme di sharing economy). Di conseguenza, non è difficile immaginare lo sviluppo di modelli analoghi anche nel mondo del lavoro, dove il successo delle organizzazioni dipenderà essenzialmente dalla condivisione di intenti, piuttosto che dal rispetto di regole rigide e anacronistiche, legate in particolare alla permanenza in un determinato luogo per un determinato periodo di tempo.